Franz Beckenbauer, Johann Cruijff,
Gerd Müller
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Campionato del mondo - finale
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L'ultimo quadro del Musée de l'Orangerie 1974 è come una tela di Fontana, con un taglio in mezzo e un vuoto cosmico dietro, o - se vogliamo - come un acrilico di Burri, con una bruciatura dolorosa.
Inopinatamente per i più, quel "fuoco arancione" - che come ha scritto Eduardo Galeano "andava e veniva, spinto da un vento sapiente che lo lanciava e frenava" e dove "tutti attaccavano e tutti difendevano, dispiegandosi e ripiegandosi vertiginosamente a ventaglio, e l'avversario perdeva le tracce davanti a una squadra nella quale ognuno era undici" - scomparve in un buco nero.
Semplicemente, dopo aver sbaragliato ogni avversario e vinto anche nella pioggia e nel vento, gli olandesi incontrarono infine una squadra forte quanto loro, potente quanto loro, anche se assai meno spettacolare, meno vertiginosa. Ma possente e pragmatica: la Deutsche Fußballnationalmannschaft che aveva dominato in Europa due anni prima mostrando un calcio altrettanto bello. Anche se di stile diverso: non un'Orangerie ma uno splendido, flessuoso, Bauhaus [vedi].
Per gli imperscrutabili disegni di Eupalla toccò nuovamente ai tedeschi, vent'anni dopo, bagnare nell'umiltà del calcio pragmatico il sogno di una squadra stellare come lo era stata l'Aranycsapat di Puskas e compagni. Ma mentre nel 1954 la Nationalmannschaft non aveva grandi campioni, se non Fritz Walter, e non aveva meritato la vittoria, quella del 1974 ne schierava perlomeno una manciata, da Paul Breitner a Franz Beckenbauer, da Wolfgang Overath a Günter Netzer, da Gerd Müller a Uli Hoeness, etc., e meritò di alzare la seconda coppa del mondo.
Tra i pochi a pronosticare la vittoria dei tedeschi fu Gianni Brera, che osservò come "per gli olandesi avevano sbavato un po' tutti, non soltanto i nesci della critica pedatoria". L'autocompiacimento fu quasi beffardo: "Io constato però che sono improvvide cicale e oso scrivere che i tedeschi, facendo le sagge formiche, li sistemeranno in occasione della finalissima. Non mi sento affatto il discepolo prediletto di Gesù: rifletto semplicemente sul modulo tattico dei tedeschi, i quai giocano all'italiana. Il risultato è stretto: 2-1. Azzeccato il pronostico favorevole ai tedeschi, mi trovo proprio bravino. Un poveraccio si deve pur consolare: qualche micco straparlava in Italia di calcio totale e d'urgente necessità di adottarlo a nostra volta. Io sghignazzavo allora senza pietà. Di calcio si discorre sette giorni la settimana e tutti sono convinti di enunciare il santo vero".
Il Maestro riconosceva che "quando non dovevano rischiare le gambe, Cruijff e Neeskens inscenavano giostre ineffabili. Il loro genio si trasmetteva a un complesso non meno dotato che esperto". Ma dimostrò di non comprendere fino in fondo la novità dell'idea di gioco che gli olandesi stavano proponendo impetuosamente. Brera era rimasto folgorato dell'Uruguay visto dal vivo nel 1954: "finalmente ebbi coscienza delle prodezze compiute dagli azzurri negli anni trenta: il modulo uruguagio aveva inspirato anche loro". E di quell'idea di calcio ordinata, quadrata, difensiva e qualitativa nella rimessa, si fece - come sappiamo - paladino e teorico (storico-etnico e non solo storico-critico), ingaggiando tenzoni ideologici memorabili con i fautori del "bel gioco". A vent'anni di distanza, Brera non ebbe la curiosità e forse nemmeno la voglia di comprendere il nuovo linguaggio calcistico. Un'opacità critica che riemerse di fronte alle declinazioni "totali" degli anni ottanta, dalla Dinamo Kiev di Lobanovskyi, bellamente ignorata, e, soprattutto, al Milan di Sacchi, tacciato di "eretismo podistico" [leggi qui].
La difficoltà, o il rifiuto, di comprendere la novità del calcio totale, è riassunta tutta in una frase: "o non mi è accaduto di vedere in attacco sull'estrema destra i due terzini d'ala? Ogni schema difensivo andava a ramengo dietro all'ispirazione e al ritmo dell'azione offensiva". Quella che per Rinus Michel era una componente essenziale della sua idea di calcio, l'universalità tecnica dei singoli e l'interscambiabilità dei ruoli, per Brera era invece disordinata frenesia atletica e tattica. Al punto di coniare uno splendido neologismo dei suoi, il "panturbiglione": "si spropositava per gli olandesi di calcio totale, diciamo pure di panturbiglione, di girandola continua".
L'Olanda della finale 1974 come una combustione di Alberto Burri |
Dal suo punto di vista - che non era tradizionalista, ma ispirato a un sano realismo critico - l'esito della finale del 1974 rispondeva a una logica evidente: "Il presuntuoso calcio totale ha mostrato le sue pecche e il calcio difensivista i suoi pregi di modestia e di praticità. In Italia avevano tutti pronosticato Olanda e si scagliarono contro di me, che avevo scritto come qualmente ì tedeschi avessero vinto i mondiali giocando all'italiana. Lo confermò papale papale anche Beckenbauer: ovviamente, ha precisato, con il nostro impegno, la nostra rabbia".
Vedi anche:
- Il confronto tra Johan Cruijff e Franz Beckenbauer
- Analisi tattica