FC Bayern München - Valencia CF

Le finali di UEFA Champions League

23 maggio 2001, Stadio 'Giuseppe Meazza', Milano
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Giuseppe Smorto, La delusione di Cuper, splendido e perdente ("La Repubblica", 24 maggio 2001)

E' finita ai rigori, così com'era cominciata. Due nei primi minuti, uno nella ripresa. Dopo i supplementari chiusi sull'1-1, sotto la curva amica, il trionfo del Bayern nella estenuante sequenza dagli undici metri: gli errori di Paulo Sergio, Zahovic, Andersson, Carboni e quello decisivo di Pellegrino. La finale dei rimpianti e del chisirivede, giocatori comprati e poi svenduti dai nostri club, ha avuto uno svolgimento scontato, un finale batticuore e alcune piccole cose eccezionali: tre penalty, di cui due nei primi sei minuti, un Effenberg che perfino gli esigenti tifosi della Fiorentina avranno rivalutato e un «Volare», versione Gipsy Kings, cantata dallo stadio intero. Niente a che vedere con il 5-4 di Liverpool-Alaves, e forse nemmeno con Manchester o Real, squadre del resto già eliminate dal Bayern. 
I pochi interisti con biglietto hanno ammirato l'inconsueta gestualità di Hector Cuper, prossimo allenatore nerazzurro. Perde la sua terza finale consecutiva, e qualcuno potrebbe giudicarlo un perdente. In realtà ha ottenuto splendidi risultati con rose ristrette, a cui di sicuro ha dato un carattere, in certi casi anche il gioco. Cuper ha fatto la finale sempre in piedi, braccia aperte e poi conserte, ad invocare invano schemi e marcature, con una perenne insoddisfazione e l'ossessione di chi vuol prendere per mano la squadra, ma la squadra è quella che è. Ha capito che il Valencia soffriva Effenberg e ha sacrificato Aimar, forse l'unico in grado di regalare fantasia. Ha scelto di preoccuparsi, di essere aggredito, ha puntato su un contropiede che non arrivava mai. Troppo presto in vantaggio, il club spagnolo ha provato a giocare di rimessa, ma raramente ci è riuscito. 
Svolgimento scontato, Bayern e Valencia hanno il culto della difesa e del risultato, e purtroppo sono stati più gli errori delle invenzioni, più i falli dei cross. Una partita in cui gli italianisti erano loro, e noi spettatori, con la Milano del calcio che stroncava una finale che poteva essere sua. Molti pregiati nostri dirigenti, insolentiti in questi giorni dai giornali, avranno forse assaporato la rivincita: nessuno di questi giocatori merita di stare dalle nostre parti, e se sono arrivati in finale di Champions League, è successo solamente perché il nostro campionato logora più degli altri. Magra consolazione. 
Una finale avara, con un protagonista assoluto, l'arbitro Jol. Sui tre rigori il dibattito è aperto: sul primo, non si vede niente nemmeno nel replay, e quindi è il caso di fidarsi di lui. 1-0 per gli spagnoli. Più netto quello assegnato (e poi sbagliato) dal Bayern. Sul terzo, c'è una netta spinta di Jancker a Carboni, che già ammonito, avrebbe forse dovuto concludere in anticipo la sua partita, ma sarebbe stato ingiusto. 1-1. Rigido sui rigori, Jol è stato invece tollerante sul resto, lasciando correre e giocare quel poco che si è visto. Poteva perfino concedere il quarto penalty, nel secondo tempo supplementare, per un netto mani di Kily Gonzalez. Da parte sua, Effenberg ha chiuso la sua partita recuperando un fallo laterale, dopo aver corso per tutti. L'ultimo ricordo dell'Italia è una sbornia prima di una partita decisiva per la promozione della Fiorentina dalla B, una fuga insieme alla moglie manager. Incredibile come abbia retto per 120', finendo in crescendo con una plateale offesa al portiere avversario durante i rigori. Dall'altra parte Mendieta, vivace e poi stremato, ha tentato di chiudere la sua buona partita con un colpo ad effetto. Non è bastato. 
A squadre apertissime, con la paura e la voglia del Golden Gol, le occasioni nei supplementari sono state tante. Da Elber a Baraja, da Scholl a Zahovic. Nessuno le ricorderà, a parte forse quelli che le hanno sbagliate, fallendo il loro appuntamento con la storia. E comunque complimenti all'umiltà del Bayern, che ha evitato la beffa subita due anni fa dal Manchester. Per lo spettacolo, ci vediamo un'altra volta.