Marcelino Martínez Cao |
Campionato europeo - finale
Tabellino | Full match | Copia | Sintesi [24:13] | Highlights
Alle sei e mezza de la tarde, puntualissimo, prese posto in tribuna il Caudillo de España, accompagnato dalla consorte per assistere alla finalissima. A guidare la Nazionale era l'unico fuoriclasse presente in campo assieme a Lev Jašin, il galiziano Luis Suárez Miramontes (entrambi palloni d'oro, rispettivamente nel 1963 e 1960), che qualche settimana prima aveva guidato l'Inter alla conquista della sua prima Coppa dei campioni al Prater di Vienna.
Incurante delle polemiche, il duro allenatore della Roja, Jose Villalonga, che pure li aveva portati alla conquista della prima coppa dei campioni nel 1956, aveva deciso di lasciare a casa gli anziani fuoriclasse del Real: Francisco Gento, Luis del Sol, e Alfredo Di Stéfano (che aveva conseguentemente deciso di porre termine alla sua ineguagliabile carriera), e di puntare su una rosa di giovani di minore talento ma plasmabili a un gioco fondato sull'agonismo, sulla velocità e su un forte spirito di squadra.
Tatticamente entrambe le compagini giocavano un WM adattato a una vocazione attendista e interpretato sulla corsa. Grazie e un bel triangolo in velocità con Amancio, Suarez crossò dal fondo al 5° una palla insidiosa, oscenamente offerta di sponda, infatti, da Eduard Mudrik sul piede a Jesus Pereda, che per l'emozione di cotanto regalo sparò di fretta una bordata tremenda anziché cercare una soluzione più ponderata. A mettere subito le cose in pari fu però una sbadataggine del centrale iberico Fernando Olivella, che lasciò avanzare liberamente al tiro il manzo sovietico Galimzyan Khusainov.
Seguì un'ora di calcio sempre più affondato nell'afosità della sera, nella quale si persero i sovietici, privi di fantasia e dunque spenti nella risorsa atletica. Per tutta la partita avevano sofferto sulla fascia sinistra: e da là arrivò l'ennesimo cross, questa volta di Chus Pereda, all’84°. Con un bellissimo volo, il gallego Marcelino girò di testa in rete la palla matando l’attonito Jašin [HL]. Seguì l’apoteosi della squadra, del Bernabeu e dell’intera nazione. Il Franchismo esaltò propagandisticamente il gesto di Marcelino, assunto a eroe anticomunista, diffondendolo attraverso i Noticieros y Documentales (i cinegiornali dell’epoca). L'atto è tuttora celebrato in molti siti sulla Roja.
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