14 novembre 1973, Empire Stadium, Wembley
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Fabio Capello ha appena insaccato il glorioso pallone |
Quando la Football Association e la Federazione Italiana Giuoco Calcio si accordarono perché le rispettive selezioni nazionali disputassero due test-match nel corso dello stesso anno - in tarda primavera e in autunno, prima in Italia e poi in Inghilterra -, nessuno avrebbe immaginato quanto diversi sarebbero stati gli 'umori' dei due ambienti, dei due movimenti calcistici, e la posizione dei due allenatori. Il 1973, per gli albionici, è disastroso: clamorosamente estromessi dalla World Cup dell'anno successivo, organizzata dai tedeschi, per mano di un clown polacco. L'Italia, viceversa,è in stato di grazia. Vince ogni partita, e non subisce reti da tempo immemorabile. Zoff è sul punto di stabilire un record difficilmente eguagliabile, e lo stabilirà: dodici partite senza piegare la schiena e raccogliere un solo pallone finito là dove nessun portiere desidera andarlo a riprendere. Inoltre, proprio il tabù inglese era stato infranto, a Torino, il 14 giugno. Era stata la nostra prima vittoria contro i maestri, dopo otto infruttuosi tentativi.
A Wembley c'è, nonostante tutto, il pubblico delle grandi occasioni. Certo, è pur sempre un confronto tra scuole, e tra scuole di vertice. La partita va come tutti immaginano potesse andare tra noi e loro a quei tempi: noi in difesa, loro all'attacco, in continua pressione, ma gli spazi nella nostra area sono intasati, e nessuna occasione è sfruttata. Loro hanno un problema, del quale dovrebbero discutere a lungo con Ramsey in riunioni di famiglia: "how to put the ball in the net", disse Tony Currie, promettente midfielder dello Sheffield Wednesday. Nel finale, gli inglesi "si sgonfiano come pugili annichiliti dal loro stesso forcing" (Gianni Brera), e vengono infilati da Capello, lesto a raccogliere un destraccio da posizione defilata di Chinaglia. Così espugniamo Wembley; Bobby Moore gioca la sua ultima partita con la maglia dei Three Lions, con questa facevano 108, di cui 80 da capitano; Ramsey rimane in sella, ma lascerà in primavera. Per loro, si chiude definitivamente un'era abbastanza felice.
La critica italiana, come al solito, è divisa. Brera definì l'impresa "un abile ma soprattutto fortunato scippo all'italiana", e fu soprattutto ritenuto colpevole di aver minimizzato la prestazione del Golden Boy - amatissimo dagli inglesi e da metà degli italiani -, reo di non aver servito una sola palla-gol a Gigi Riva, abbandonato alla sua solitudine nella deserta metà campo dei nostri avversari, e limitandosi a "disimpegni rari ma eleganti ed efficaci". Soprattutto, Gioann tentò di frenare i facili entusiasmi, poiché la vittoria "viene salutata come un evento decisivo per il pronostico dei mondiali" (Storia critica del calcio italiano); col senno di poi, si dica che aveva torto. E, in fondo, non era il solo a ben diagnosticare. Si rileggano alcuni passaggi di Giovanni Arpino: "Il gol a tre minuti dal termine conferma che questa Nazionale, conscia dei suoi limiti ma sicura delle sue forze, esiste e che il declino inglese è la nota più incredibile nel panorama del football europeo. Zio Ferruccio miete a Wembley uno dei suoi successi più clamorosi, che premiano il 'collettivo' azzurro, la sagacia di una squadra che proprio nella consapevolezza di non essere irresistibile trova le risorse per speculare gioco e imporsi ... Questo risultato di Wembley è comunque una grossa garanzia per la nostra spedizione a Monaco: bisogna però saperlo interpretare, sia non esagerando le possibilità dei nostri azzurri, sia non dimenticando l'attuale valore dei giocatori di Sir Alf Ramsey, definitivamente sconfitto sul piano della tattica e sul suo terreno preferito, che è quello della presunzione" (La Stampa, 15 ottobre 1973).
Già. Fu per presunzione che gli inglesi ci vennero addosso, consentendoci di giocare la 'nostra' partita. Abile e, certo, fortunata.