Derby County FC - Juventus FC

25 aprile 1973, Baseball Ground, Derby
Coppa dei campioni - semifinali (ritorno)
Tabellino | Sintesi | Highlights

Giovanni Arpino
Per la prima volta

La Juve va a Belgrado, nonostante le minacce di distruzione che il signor Clough le aveva scaraventato addosso alla vigilia. Dicevamo ieri: questi bianconeri possono vincere a Derby. Ci correggiamo: dovevano vincere. Hanno creato sul finire della ripresa almeno quattro palloni-gol che José e Pietro hanno banalmente messo fuori e qui dobbiamo aggiungere che se questo Derby fosse andato a Belgrado, davvero avremmo assistito ad un ignominioso spettacolo. I «Rams», leali e duri combattenti, non hanno mai impensierito sul serio la Juve, pur schiacciata dal tradizionale impeto inglese. A parte Davies, un lungagnone dal piede classico ma dai nervi fragili (fino all'espulsione) i «montoni» sono tornati agnelli. Gettando nella lotta il massimo della loro forza fisica, sono riusciti solo a dimostrare le carenze tecniche e di fantasia. Grandi cross, grande propulsione, ma piedi che non conoscono la giusta misura e schemi monotoni anche se impressionanti per la foga. 
Hanno addirittura fallito un rigore al 14' del secondo tempo: Hinton, incaricato sin dall'inizio per ogni tiro piazzato, ha bellamente spedito oltre il «sette» alla sinistra di Zoff. E qui il Derby si è sgonfiato come una mongolfiera riempita di gas. Ha ceduto il centrocampo ai bianconeri, che lo dominavano con eleganza, sbagliando poi le ultime rifiniture forse per un «fair play» davvero anglosassone (fosse finita zero a due o zero a tre, il pubblico dei «montoni» non avrebbe potuto recriminare nulla). 
Ora Clough si lamenterà ancora di Lobo, un arbitro che ha visto quasi soltanto i falli dei «bianchi», ha assegnato un rigore dubbio, ha perdonato troppe cose, dimostrando che la mediocrità delle «giacchette nere» è europea e non solo italiana? 
Torniamo alla bella grintosa Juve «made in England». Ha controllato con reticoli difensivi e di centrocampo che sono riusciti a mettere in evidenza la salute e la concentrazione bianconere. Da Zoff ad Anastasi (anche se quest'ultimo ha fallito un paio di tiri decisivi) tutti si sono prodigati secondo una regola collettiva a chiudere varchi, ad opporre uomo a uomo, stringendo barricate non prive di logica e a volte (lasciatecelo dire) persino di eleganza nei disimpegni. 
Una gran prova di vecchio stampo italiano, che ricorda le grandi annate di Coppa, e per di più irrorata dal giovane sangue juventino: ecco che questa Juve dimostra come la sua stagione avrebbe potuto essere svolta ad un livello assai più alto. Non siamo affatto severi, siamo soltanto logici: non si «chiude» e ammaestra e sgonfia un Derby in casa sua avendo perso a Firenze. Sembra un lamento, è invece un legittimo parallelo sulla «verità» juventina, che è notevole ma di volta in volta deve essere stimolata a dovere. 
E ora, Belgrado: la gran battaglia di Derby consente l'ultima, prestigiosa trasferta di Coppa Campioni, un traguardo che la Juventus non aveva mai toccato. Oggi come oggi bisogna amministrare e riflettere su questa gioia di Coppa, pur godendocela. Non avevamo mai dubitato delle possibilità - sia di carattere sia di quadratura tecnica - della Juve. Solo la Juventus poteva smentirsi, o battere se stessa. Ma la spina dorsale dei bianconeri, da Salvadore a Capello a Furino, è venuta fuori come una gran struttura portante, meritevole del risultato e del viaggio in Jugoslavia. Ove sarà bellezza di football, sangue caldo, lotte feroci, ma anche grosse probabilità. Se si ripete a Belgrado, questa Juve infiora un'annata che era parsa ambigua. Il coraggio bianconero è di grandissima razza: basta che ogni juventino, da un'occasione all'altra, se lo ricordi. La Coppa è qui, mettiamoci le unghie sopra: ed invitiamo pure mister Clough a Belgrado come turista.

"La Stampa", 26 aprile 1973