Luis Enrique mostra i segni del Tasso |
Campionato del mondo - quarti di finale
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Quello del 1994 fu, per l'Italia, un Mondiale in salita, per tanti motivi. Certo non le diede una mano il clima. Se a Dallas il 9 luglio faceva fresco e alitava un bel vento sul quarto di finale tra Brasile e Olanda, a Boston l'umidità segnava quasi il 100% e gravava una cappa grigia per il match contro la Spagna. Gli iberici avevano goduto di tre giorni in più di riposo, gli azzurri vi arrivarono con i supplementari contro la Nigeria nelle gambe. Inevitabile qualche ricambio (allora non si diceva ancora, nella lingua di Dante, "turn over"): dentro di nuovo Pagliuca e Tassotti, debutto mondiale per Antonio Conte. Il CT della Spagna temeva l'Italia e imbottì il centrocampo lasciando il solo Luis Enrique davanti.
Bel primo tempo azzurro con bordata da fuori area di Dinone Baggio a sbloccare verso la metà del primo tempo. Nella seconda frazione entrarono anche Signori e Berti. Gli azzurri subirono il ritorno della Spagna e il pareggio per una sfortunata deviazione di Benarrivo. Quando la partita sembrava avviata agli ennesimi supplementari un bel contropiede di Signori, lanciato da Berti, servì al Divin Codino l'occasione di un ricamo ai danni di Zubizarreta. Sull'ultimo attacco spagnolo Mauro Tassotti macchiò la propria carriera con una bruttissima gomitata che spaccò il naso a Luis Enrique: non vista dagli arbitri, fu sanzionata con 8 giornate di squalifica utilizzando per la prima volta ai Mondiali la prova televisiva.
Puntuale come sempre il commento di Roberto Beccantini: "Vince l'Italia dei Baggio, cinque gol su sei portano la loro firma, e complimenti alla Juve per essersi sbarazzata del Dinone. Vince l'Italia, che non incanta ma non ruba, anzi, laboriosa formichina, nemica giurata di tutte le cicale. L'Italia costruisce la vittoria sulla compattezza del gruppo e sui sofisticati meccanismi di una difesa che, come un orologio, ha in Costacurta e Maldini eleganti e puntualissime lancette. Non è una nazionale che trascina. E' una nazionale che non rinuncia al contropiede, prova ne sia il fraseggio, mirabolante, del 2-1 baggiano. E' una nazionale, soprattutto, che sa reagire ai colpi bassi della sorte (la carambola di Amunike martedì, lo stinco di Benarrivo su tiro di Caminero, ieri), garantendosi, così facendo, ampi crediti, riscossi poi quando per gli avversari diventa impossibile porvi rimedio. Non gioca, l'Italia di Sacchi, come giocava il suo Milan, portato, per costituzione, a demolire i rivali. Di quel Milan, resta la torta, ma le ciliegine sono i due Baggio. Sofferenza. Emergenza. Stellone. L'Italia non molla mai, il gioco cresce, e l'Arrigo, in versione re Mida, trasforma in oro ogni mossa che fa. Anche quelle in teoria più discutibili: Donadoni per Signori, e poi Signori per Albertini. E così l'Arrigo guadagna le semifinali, eguagliando a grandi linee l'Azeglio, terzo nell'edizione del '90".