Le finali di UEFA Champions League
24 maggio 2014, Estádio da Luz, Lisboa
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- UEFA
- Gazzetta dello Sport
- Roberto Beccantini, Una lezione, comunque
- Real snatch late equaliser at end of cautious first 90 minutes before becoming rampant in extra-time, "Zonal Marking"
- Las claves de la conquista de la décima por el Real Madrid, "Mundo Deportivo"
- Les leçons tactiques de la finale madrilène, "So Foot" (Markus Kaufmann)
- Rassegna stampa
- Prime pagine
Andrea Sorrentino, Real batticuore e trionfo. Ancelotti nella storia, conquista la decima ("La Repubblica", 25 maggio 2014)
Ora potete chiamarlo Carletto anche voi. O Carlos, se proprio preferite. L'ossessione non c'è più, il Real ha la sua Decima. Grazie a Carlo Ancelotti, l'unico magnifico spruzzo di Italia in una Champions che ormai ci respinge, ora l'allenatore più vincente d'Europa insieme a Bob Paisley: solo loro hanno alzato tre volte la Coppa, e Carlo con due squadre diverse. Alla fine Zidane abbraccia Carlo, tutti abbracciano Carlo e lui è ancora lì, col suo sorriso sghembo e modesto, che ringrazia e continua a masticare il chewing-gum. L'Atletico è piegato in un'atroce riedizione della sua finale del 1974: il gol di Ramos, suo sesto nelle ultime sette gare, arriva al 93' a pareggiare quello di Godin, come quello di Schwarzenbeck nel 1974 che poi portò a una ripetizione persa 4-0 col Bayern, e adesso ci vorranno altri quarant'anni per cancellare questa pena. Perché l'Atletico, fin lì terrificante per intensità e dedizione, al punto da meritare la vittoria, si sbriciola dopo il 2-1 di Bale e ne prende altri due. Finisce con Casillas, alla sua terza Champions, che bacia i compagni e a tutti dice gracias, gracias, perché se avessero perso la colpa sarebbe stata solo sua. Ma per 92 minuti e 43 secondi, cioè fino alla superba testata di Sergio Ramos che ha trascinato per i capelli il Real fino in fondo, i blancos sono stati ostaggio dell'Atletico. Il campo, quando si affrontano i rojiblancos, diventa una graticola senza requie. Ti lasciano la palla, ma mantengono il controllo psicologico e tattico. File serratissime, si muovono a fisarmonica seguendo il pallone come segugi assatanati sull'usta. E se vengono saltati, si rialzano e ti rincorrono ancora, e se serve ti stendono in terra e ti tocca ricominciare. Un moto perpetuo, con l'obiettivo di fiaccarti l'anima prima delle gambe. Ma stavolta Simeone commette un grave errore, mandando in campo Diego Costa, che non sta bene ma ha insistito per giocare. Bella fesseria: esce già al 9', e il Cholo (alla fine espulso) deve spendere la prima sostituzione all'alba della partita. Anche questo conterà, a gioco lungo. Ancelotti rischia la BBC (Bale-Benzema-Cristiano) ma Benzema non sta in piedi. Il Real ha il controllo del gioco però ritmo lento: Cristiano è al 50%, Bale poco di più e senza Xabi Alonso la manovra manca di variazioni. Così l'Atletico può acquattarsi come preferisce e rischiare nulla, qualcosa accadrà. Prima accade che un errore di Tiago in palleggio manda in porta Bale, che però fallisce il sinistro in area (32'). Poi Casillas sbaglia la lettura di un cross di Juanfran: San Iker esce a metà, rimane nella terra di nessuno e Godin lo scavalca con un colpo di testa che spalanca al Real le porte degli inferi. La ripresa è una pena per i blancos: assalti confusi che non portano a nulla, se non alle fucilate a salve di Cristiano e Bale. E l'Atletico che rincula, ma troppo negli ultimi 10' perché vede il traguardo. E sbaglia, perché il Real in quel finale dimostra di aver sangue nelle vene. Lo stacco di Ramos nel recupero è perfetto e infila il pallone nell'angolo. Cambia tutto. Nei supplementari arriva la grandine: Di Maria è straordinario nel creare il 2-1, concluso dal tap-in di Bale, poi Marcelo e Cristiano su rigore regolano i resti dell'Atletico, che chiude stremato, furente, sconfitto e con la prospettiva di altri 40 anni di incubi.