Jugoslavia - Italia

Dal dischetto il gol della bandiera
12 maggio 1957, Stadion Maksimir, Zagreb
Coppa Internazionale
Tabellino | Video [1:39]


Impostata sul blocco della Fiorentina (nove giocatori schierati: Foni aggiunge Boniperti e Lovati, il portiere), campione d'Italia ma perlomeno in campionato declinante, la nazionale subisce a Zagabria una durissima umiliazione. 
Tra i più feroci critici c'è Vittorio Pozzo.

"Il gioco ... ha espresso una volta ancora, apertamente, schiettamente, deliberatamente la sua condanna al nostro modo di comportarci In campo. Questo non nel senso ormai vieto del termine, si noti: quello cioè della difesa ad oltranza tipo catenaccio, terzino volante o altre diavolerie del genere. Se Dio vuole, di gioco ostruzionistico nella pura e consueta espressione del termine, da parte nostra nell'occasione non se ne è prodotto. Ed è nostra convinzione che se ad esso si fosse ricorso, un fallimento avrebbe fatto seguito, dato il tipo e la veemenza delle offensive jugoslave della giornata. Le quali forse appunto perché preventivavano una possibilità di gioco difensivo ad oltranza da parte nostra, avevano fatto ricorso alle offensive impostate su gioco largo, con l'impiego delle ali a getto continuo. No, nel caso specifico parlando del gioco nostro condannato dalla giornata e dalle circostanze, noi vogliamo parlare del modo generico di comportarsi del nostri. Questo gioco ha dimostrato che noi non sappiamo più quello che vogliamo o possiamo fare, né quando attacchiamo, né quando difendiamo. Quando attacchiamo no, perché proprio allora forniamo la dimostrazione palmare di non esserne più capaci; quando vogliamo difenderci normalmente nemmeno, perché allora emerge in luce meridiana che senza l'aiuto di circostanze artificiosamente create, noi non lo sappiamo più fare. Quella che Zagabria ha espresso è una condanna al nostro modo di comportarci in campo, alla nostra concezione del gioco, alla mentalità che nei nostri giocatori e nel nostri dirigenti si è venuta lentamente, ma inesorabilmente formando" (Stampa Sera, 13-14 maggio 1957, p. 6).