Le finali di UEFA Champions League
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La pensierosa rincorsa di John Terry (Eupallog Calendario)
Roberto De Ponti, EuroManchester ("Corriere della Sera, 22 maggio 2008)
Perdere ai rigori una finale di Champions è crudele, perderla dopo averla già praticamente vinta lo è ancora di più. Perderla come l'ha persa il Chelsea è un'autentica tortura. Nella Champions glamour del Manchester United non c'è spazio per The Average Man, l'uomo medio, Avram Grant, ovvero l'allenatore più stropicciato d'Europa: per la seconda volta in poche settimane i Blues si fermano a un passo dal traguardo, ma questa volta dopo essere stati lì lì per raggiungerlo. Il rigore del capitano coraggioso e sfortunato Terry si è stampato sul palo, il terzo della serata per il Chelsea, quando i giocatori stavano per festeggiare il trionfo a sorpresa. Lacrime amare, quelle di Terry, lacrime di gioia invece quelle di Cristiano Ronaldo, al quale le manone di Van der Sar hanno impedito di diventare l'uomo che aveva condannato il Manchester United alla sconfitta, facendosi parare la conclusione dal dischetto. Ma al ragazzo, baciato dal dio del pallone, le cose non possono che andare bene.
C'è qualcosa di epico, nel terzo successo continentale del Manchester, il double dopo il trionfo in Premier League, una vittoria che arriva a 50 anni dalla tragedia di Monaco quando in fondo a una pista si interruppe il sogno dei Busby Babes. C'è qualcosa di epico anche nel modo in cui ha vinto, dopo 128 minuti di battaglia, su un campo che con il passare dei minuti è diventato una gigantesca pozzanghera, con risse in campo, un espulso (Drogba, per uno schiaffo a Vidic), otto ammoniti, Scholes uscito con il volto insanguinato e la metà dei giocatori colpita da crampi. Eppure la squadra di Ferguson ha rischiato grosso. È stato bello solo per un tempo, il primo, a immagine e somiglianza della sua icona metrosexual, il Cristiano Ronaldo faccia da schiaffi e talento infinito. L'uomo in più dei Red Devils ha messo subito il proprio sigillo sulla finale segnando il gol numero 42 della sua fantastica stagione. È il minuto numero 26 quando da un dai e vai cestistico (il primo passaggio in effetti è una rimessa laterale) Brown-Scholes-Brown, nasce il cross dell'1-0: il pallone dalla destra è perfetto per la testa dell'attaccante più glamour del circondario, lasciato però colpevolmente libero da Essien. Il gol sembra essere solo l'inizio della cavalcata. Eppure.
Il Chelsea, che fino a quel momento solo una volta si era affacciato dalle parti di Van der Sar, volta la carta e pesca il jolly: Essien si affranca per una volta da Ronaldo e dalla tre quarti scocca un tiro che carambola prima sul piede di Vidic poi sulla schiena di Ferdinand, trasformandosi in assist per Lampard. Il numero 8 segna e dedica il gol alla mamma, scomparsa tre giorni prima della semifinale vinta con il Liverpool. E da questa rete, comincia una nuova finale. L'1-1 ha il potere di togliere ai Blues tutte le timidezze e le paure di una finale da debuttanti. Non è un caso se quello che rientra in campo è un altro Chelsea, capace anche di schiacciare per lunghi minuti nella propria area il Manchester. Incapace però di concretizzare la superiorità territoriale, sia nel secondo tempo sia nei supplementari, più per sfortuna che per demeriti: il palo colpito da Drogba è ancora lì che trema, la traversa presa da Lampard ha visto Van der Sar in preghiera, lontano metri e metri da un pallone imprendibile. Col senno di poi, sono segni del destino. C'è chi è bello, bravo e fortunato: Cristiano Ronaldo e il suo Manchester fanno parte della categoria, Avram Grant e il suo Chelsea no.