Le finali di UEFA Champions League
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Lo “zenith” del ciclo di Pep Guardiola al Barcellona. Una partita in cui il Manchester United riuscì a giocare solo nei primi minuti per poi subire costantemente l’iniziativa dei catalani. L’apoteosi di uno stile di gioco votato alla pressione e al passaggio: non uno sterile tiki-taka orizzontale ma una trama avvolgente continua e implacabile. Uno dei capolavori performativi più alti della storia del calcio.
Gianni Mura, Il calcio degli altri ("La Repubblica", 29 maggio 2011)
È la bellezza assoluta e assolata del Barcellona a portarsi a casa la coppa con le orecchie. Prima, è la gioia degli occhi. Una vera serata di gala per quelli che amano il calcio tecnico, leale, coraggioso. Per i mendicanti di bellezza, come Eduardo Galeano definisce gli appassionati di calcio di un certo tipo, una serata da non dimenticare. Il Manchester, che pure è una squadra fortissima, è stato progressivamente emarginato dalla partita, costretto a fare da spettatore, o meglio da sparring-partner. I piccoletti dell'attacco di Guardiola non hanno lasciato scampo ai perticoni di Ferguson. Al quale si può forse rimproverare la scelta di Valencia (del tutto inutile) al posto di Nani. Guardiola temeva la velocità di Valencia e infatti ha rinunciato, col cuore pesante, a schierare Puyol sulla sinistra, concedendogli pochi minuti di passerella finale. Messi, eletto uomo del match, e Rooney, per quanto molto isolato, non hanno tradito le attese. Ma s'è visto, ancora una volta e con molto piacere, che il calcio non è un gioco individuale. Tutto il Barcellona si è mosso al suono della stessa musica. Ha continuato a danzare sullo stesso ritmo anche dopo il pareggio inglese, ha attaccato quando era in vantaggio di un gol, di due gol.
C'erano all'inizio in campo per il Barcellona sette giocatori provenienti dal vivaio. Un altro esempio, un'altra strada da seguire per chi ha voglia di capire. Nei giorni di vigilia risuonavano allarmi che oggi sembrano buffi, ma, prima, non erano privi di significato. Il Barcellona sa fare un gioco solo, si diceva, mentre il Manchester è poi camaleonte, sa adattarsi a ogni situazione. Camaleonte finché si vuole, ma quando gli avversari arrivano al 70% di possesso di palla comincia a girare la testa, cominciano gli errori, cominciano a vincere quelli più bravi, quelli più sicuri di sé, a volte anche troppo. È sintomatico, però, che due dei tre gol del Barcellona siano venuti su tiri da fuori area. Non sempre è possibile segnare stando a tre metri dalla porta.
Noi in Italia non siamo abituati a squadre come il Barcellona. Sensibili alle mode, non facciamo nulla per copiarlo. Non che sia facile. Se dalla musica passiamo alla pittura, il Barcellona è come un quadro di Seurat: attraverso i puntini (nel calcio, i tocchi brevi) si ha un'idea del paesaggio. Oppure, se vogliamo andare sulle Ramblas, il Barcellona è come un quadro di Mirò. Non è un figurativo, ma guardarlo mette addosso una grande allegria. Ecco, il Barcellona è l' allegria del pallone. Dietro c' è un grandissimo lavoro di preparazione, ma quando si gioca è l'allegria che conta e la bellezza che vince.