AS Roma - Juventus FC

Atmosfera festosa (prima della partita)
6 marzo 1983, Stadio Olimpico, Roma
Serie A - 22ma giornata
TabellinoFull match




Gian Paolo Ormezzano
All'Olimpico tra sofferenze e sorprese
"La Stampa", 7 marzo 1983

La domanda civile, alla fine di Roma-Juventus, è questa: è un limite o un pregio del football, saper offrire cose cosi? Ci sono altri sport dove il capovolgimento di situazioni dipende da lunghi studi, o appartiene a vistosi imprevedibili traumi. All'Olimpico, ieri, la Juventus ha vinto con due gol e le due azioni - una punizione, un cross con colpo di testa - sono state da casistica la più elementare.
In sostanza, in campo non è accaduto nulla di strano. Però, intorno al campo, e pensiamo in tutta Italia, c'è stato uno stravolgimento psicologico colossale, drammatico, che fa sistemare la giornata fra le più intensamente vissute da sportivi, sportofili, sportomani e anche, raggiunti coinvolti contagiati in qualche modo, sportofobi.
Nessun altro sport può incidere cosi cuori, cervelli, animi e anche anime, per non dire dei corpi; dopo la gara, sirene di ambulanze per raccogliere infartuati o infartandi, e folla che sciamava mesta, senza neppure quelle gaiezze che tutti i funerali contengono in coda, quando la gente, lontana anche spiritualmente dal morto, si racconta le cose sue e le ultime barzellette. Un limite o un pregio, allora? 
La risposta é strettamente privata. Tanto più che alla soluzione finale si è arrivati passando per situazioni psicologiche assortitissime, e opposte a quella conclusiva. Una specie di percorso di guerra, alla fine del quale i romanisti hanno trovato la mina, gli juventini (pochi ufficialmente radunati all'Olimpico, ma molti sparpagliati infiltrati nella vasta tribù dei nemici) hanno trovato la chicca.
Per due ore, le due prima del match, e novantotto minuti (ottantatrè del match e quindici dell'intervallo) i giallorossi hanno provato emozioni enormi ma, come dire?, positive. Preso possesso dello stadio, lo hanno fatto giallorosso soprattutto con dischi, di carta, grandi come piatti grandi, offerti dalla società. Sparito lo striscione - meglio un giorno da lupi che cento da agnelli -, forse anche perché Giovanni Agnelli, teorico primo lettore, non si è presentato allo stadio. Ingaggiati i bersaglieri, e infatti la loro fanfara sciorinata di corsa sul prato era preceduta da bandiera giallorossa. Esibiti gli sbandieratori, in campo per essere precisi in pista. Così giallorossa programmata doveva essere la partita, e lo era sino a sette minuti dalla fine, uno a zero per la Roma, sette minuti sette punti in classifica e sette volte sette faceva scudetto.
Poi, quel che sapete, che tutti hanno saputo ieri 'in diretta' fuorché Boniperti, che mentre Platini e Brio segnavano, stava volando verso Torino, nell'intervallo schizzato fuori dal box della radiotelevisione dove aveva seguito il primo tempo con figlia Federica e general manager  Giuliano. A meno di pensare a un aereo collegato via radio all'Olimpico, oppure a segnali parapsicologici, o a sobbalzi atmosferici che Giampiero sapeva, sa interpretare. 
Quel che sapete ma anche quel che nessuno aveva saputo pensare nell'intervallo, quando la partita si era consegnata a una prima parziale meditazione con il suo nulla ben tornito, ben vestito. Tre ministri in tribuna d'onore, "en attendant Pertin" che non è arrivato, ed erano Scotti Signorello Gaspari, gente dell'industria come Romiti e Montezemolo (sua un'osservazione tecnica validissima: "Falcao centravanti toglie alla Juventus la spinta di Bonini"), molti industriali fra i quali il loro papà Merloni, con fratello deputato, e Barilla della pasta che sponsorizza la Roma: "Vorrei cuocere pasta Barilla nelle mie cucine Ariston", diceva Merloni, facendo dell'involontario ma efficace carosellismo.
Usciva dal nostro programma, con i gol di Platini e Brio, il servizio da Roma oggi, tutta scudettosa, e non ci entrava nulla, perché la Juventus è più misteriosa che mai, adesso anche irritante per la facilità, alla Houdini, di fare le cose estreme, e l'incapacità di fare quelle primarie. Restava e cresceva l'interrogativo sul limite o pregio del calcio: uno sport cosi poco sportivo che Liedholm, in sette minuti, è passato da genio a imbecille, senza nessun merito geniale prima e nessun reato di imbecillità poi, e Boniperti ha steso un'ombra gelida sullo stadio pur essendo ormai a Torino.