Wesley si tocca il corno
con cui ha infilzato il suo compagno di club
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Campionato del mondo - quarti di finale
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Ai Mondiali 2010 per la prima volta tutte e cinque le squadre sudamericane avevano superato il primo turno: quattro di esse riuscirono ad approdare ai quarti. Solo il Cile fu eliminato agli ottavi, dal Brasile. La Seleçao affrontò poi l'Olanda. A guidarla era stavolta Carlos Caetano Bledorn Verri, meglio noto come Dunga, campione del mondo con l'XI meno fascinoso, iscritto al filone pragmatico del futebol brasileiro e plasmatosi per lunghi anni nel tatticismo del calcio italiano. Detto in breve: un catenacciaro. Vincente, peraltro: Copa America 2007 e Confederations Cup nel 2009. Ma anche un semplice bronzo alle Olimpiadi di Pechino nel 2008.
Nelle partite del girone il Brasil non aveva incantato i palati fini, ovviamente: "speculativa" era l'aggettivo più in voga per definirne l'idea di gioco. Contro l'autarchica Corea del Nord aveva vinto di misura, nel secondo tempo, e subendo addirittura un gol: per dire, agli asiatici il Portogallo avrebbe poi rifilato un sonoro 7:0. Tra le due squadre di medesimo idioma sarebbe invece finita con un pareggio incolore. Più scorrevoli gli ottavi contro un Cile abbastanza modesto.
Dunga aveva una bella linea difensiva "italiana" con Julio Cesar, Maicon, Lucio, Juan e Bastos; due piedi ruvidi davanti a essa: Gilberto Silva e Felipe Melo; due "attaccanti" esterni come Dani Alves (per dire dell'atteggiamento) e Robinho; un già declinante Kakà dietro all'unica punta Luis Fabiano. A parte Maicon, Dani Alves e Kakà, gli altri è difficile ritenerli più che dei buoni giocatori. L'impatto con una quadratissima Olanda, guidata dal pragmatico e assai poco "total" Bert van Marwijk, fu disvelatore.
Abile golletto di rapina di Robinho al 10° e raddoppio negato a Kakà da Stekelenburg in avvio. Poi si spense la luce. Nella ripresa emersero gli Arancioni, con una magnifica doppietta di Wesley Sneijder: gran tiro da fuori deviato da Felipe Melo e poi addirittura un'incornata tra le belle statuine. Come molte altre volte nella storia (1938, 1954, 1974, etc.) i Brasiliani scaddero nell'isteria. Un pestone a Robben valse un rosso a Felipe Melo, giocatore eponimo di quella ciurma. Julio Cesar si limitò a versare caldi lacrimoni. Era il capolinea per una generazione verde oro.